QUALE STRATEGIA ?

E non aspettavamo una vittoria, non ci poteva essere la minima speranza di vittoria.
Ma ognuno voleva avere il diritto di dire ai propri figli: "Io ho fatto tutto quello che ho potuto". »
(Vladimir Konstantinovič Bukovsky, Il vento va e poi ritorna)

La resistenza nonviolenta (o azione nonviolenta) è una pratica per raggiungere degli obiettivi senza l'uso della violenza.
È diffusamente assimilata alla resistenza civile, sebbene i due concetti abbiano meriti distinti e connotazioni leggermente differenti.
La forma moderna di resistenza nonviolenta è stata resa popolare, nonché collaudata per la sua efficacia, dal leader indiano Gandhi nei suoi sforzi per ottenere l'indipendenza dagli inglesi.
Tra i sostenitori della resistenza nonviolenta, occorre menzionare Lev Tolstoj, Mohandas Gandhi, Andrej Sacharov, Martin Luther King, Václav Havel, Gene Sharp e Lech Wałęsa.
Nel 2006 la biologa evoluzionista Judith Hand ha presentato un metodo per abolire la guerra fondato sulla resistenza nonviolenta.
Molti movimenti che promuovono la filosofia nonviolenta o quella pacifista hanno adottato dei metodi d'azione nonviolenta per perseguire efficacemente obiettivi sociali o politici.
L'azione nonviolenta si discosta dal pacifismo poiché essa è potenzialmente proattiva e interventista, e nasce da un rifiuto radicale della violenza.

COSA E' IMPORTANTE SAPERE PER INIZIARE BENE
  1. la libertà no è gratis.
  2. liberarsi dalla dittatura e dalla dominazione italiana non è utopia perché è possibile ed è legale.
  3. il diritto di autodeterminazione và esercitato e applicato a prescindere dall'opposizione del regime italiano.
  4. evitare l'instaurazione di un nuovo regime una volta liberati da quello italiano.

RIFLESSIONI

(tratto da un testo di Francesco Alberoni)
Il capo carismatico
Ogni movimento esprime sempre dei capi che vengono riconosciuti dagli altri come gli unici a a guidare il movimento perché posseggono qualità straordinarie (carismi).
All’inizio il capo è solo uno dei tanti, poi diventa il primus inter pares, in seguito diventa il condottiero, la guida infallibile.
È stato Max Weber ad identificare il potere carismatico come una delle tre forme di potere legittimo (gli altri sono quello tradizionale e quello burocratico).
Di solito si afferma chi ha una idea vincente o quando dimostra una superiore capacità strategica e organizzativa.
Di qui un corollario importante: tutti i membri del gruppo allo stato nascente sono potenzialmente dei capi carismatici.
La speciale temperie emotiva, il senso di partecipare ad un grande compito di liberazione, l’esperienza fondamentale danno, anche a quelli che appaiono solo dei gregari, un impronta speciale, un carisma che si rivela quando agiscono nel mondo esterno.
Allora si comportano come dei capi carismatici, trascinano con se altra gente, creano altri gruppi, innescano altri processi di stato nascente.
 
No al mito del capo carismatico
Quando un capo si è affermato, quando ha sconfitto tutti i suoi avversari e messo in moto un grandioso processo di trasformazione, quando ha preso e consolidato il suo potere, chiunque egli sia stato, qualsiasi cosa abbia fatto, viene divinizzato.
Guardando i movimenti collettivi nel loro complesso vediamo che molti capi carismatici non sono dotati di qualità eccelse.
A volte sono degli agitatori particolarmente abili, a volte dei grandi oratori, a volte dei violenti, a volte dei temerari, a volte dei ciarlatani, a volte dei pazzi.
Oppure, preso il potere, si sono trasformati rapidamente in despoti e sono stati abbandonati dai seguaci.
Anche senza arrivare a questi estremi troviamo spesso capi che non sono all’altezza della situazione.
Vi sono però anche dei grandi capi carismatici che, nella loro vita sono riusciti a trasformare turbe sbandate in confraternite, partiti, eserciti organizzati.
 
Le istituzioni di dominio … no al fanatismo
Il movimento ha bisogno di una guida, di un capo.
Questo capo emerge dal calore bianco dell’entusiasmo dalla speranza di un rinnovamento radicale.
Talvolta è lui stesso che mette in moto il processo, di solito si fa strada nel fuoco delle agitazioni.
All’inizio comunque egli non si proclama capo, soprattutto nello stato nascente egli è solo il primus inter pares.
Col successo del movimento e trionfando sui suoi avversari a poco a poco viene riconosciuto da tutti e, poiché il movimento promette qualcosa di straordinario, egli stesso diventa straordinario: un capo carismatico.
Sul capo carismatico vengono proiettate tutte le qualità e tutte le virtù il “culto della personalità“ avviene spontaneamente, sono i seguaci stessi che innalzano il loro capo e lo adorano.
Il carisma però, ce lo ricorda Max Weber, è precario, si rafforza solo attraverso il successo, con la sconfitta può svanire.
E svanisce spontaneamente anche col passare del tempo perché nessun capo è in condizione di realizzare i sogni dorati dello stato nascente.
Compaiono critiche, invidie, concorrenti.
Per questo il capo carismatico, quando ha raggiunto i potere politico è portato a stabilizzarlo dichiarando che gli obbiettivi verranno realizzati e nel frattempo si libera di tutti gli avversari reali e potenziali.
Usando questo infernale meccanismo i capi della rivoluzione francese si sono sterminati l’uno dopo l’altro, lo stesso hanno fatto i capi della rivoluzione sovietica e quelli della rivoluzione cinese fino alla uccisione del membri della “banda dei Quattro“.
La divinizzazione del capo carismatico ha sempre, come corrispettivo, l'elaborazione paranoica di un nemico totale.
Il modo in cui il capo consolida il suo potere assoluto è l’asservimento morale.
E come la ottiene?
Chiedendo a ogni individuo di sacrificare proprio ciò che per lui è essenziale, di compiere un atto mostruoso, come denunciare o uccidere la moglie, un amico, il padre, il figlio. Facendo questo egli perde ogni capacità di giudizio morale.
Le cose non cambiano quando al posto di un unico capo carismatico c’è un gruppo una assemblea, un comitato di salute pubblica che impone la fraternità col terrore come nella rivoluzione francese.
È l’asservimento morale che porta alla formazione del fanatico.
Il fanatico non è semplicemente uno che crede fortemente.
E un individuo che è stato asservito moralmente.
Un individuo che ha accettato di compiere azioni in totale contrasto con i suoi convincimenti.
Il fanatico è uno che ha tradito, nella sua essenza, l'esperienza di liberazione, di fratellanza e di verità dello stato nascente.
Per questo ha perso la sua anima.
Può solo ubbidire e uccidere.
 
Le istituzioni di convivenza
Nelle fasi iniziale dei movimento gli individui sanno con chiarezza di essere portatori di diritti umani fondamentali e inalienabili.
Eppure pochi anni dopo la proclamazione dei diritti dell’uomo in Francia c’era il terrore e non uno solo di questi diritti veniva rispettato.
Eliminato un sovrano dispotico il movimento stesso e aveva eretto un sovrano collettivo – la Convenzione rivoluzionaria – ancora più dispotico e sanguinario.
Per evitare che nella situazione rivoluzionaria, nasca un nuovo più terribile dispotismo, bisogna che i rivoluzionari per prima cosa pongano dei limiti alla propria spontanea pressione verso l'unanimità che tende a generare una assemblea o un capo carismatico onnipotente che viola i diritti appena proclamati.
Questa è l’essenza delle istituzioni di convivenza.
Se il movimento non si auto impone un tale limite, genererà inevitabilmente un nuovo dispotismo.
 
La strada che allontana dalla democrazia
È solo ed esclusivamente nello stato nascente che esiste l'esperienza della coincidenza della volontà individuale autentica e della volontà generale e questa esperienza svanisce con esso.
Tutte le dottrine politiche, siano esse liberali, anarchiche, marxiste o islamiste, che promettono istituzioni capaci di conservare la coincidenza fra volontà individuale e volontà generale (profana o divina) producono totalitarismi.
 
La strada che conduce alla democrazia
All’estremo opposto del pensiero francese che ha il suo padre in Rousseau che vede emergere la costituzione dal contratto sociale creatore di una Volontà Generale senza limiti, la scuola inglese fa nascere lo Stato e la Costituzione solo dal freddo calcolo razionale.
Ciò che unisce gli uomini non è l’entusiasmo, la fede, il movimento, al contrario è la riflessione, il calcolo della propria convenienza.
Essendo intelligenti, capiscono che possono cedere il loro potere a qualcuno in cambio della vita e della sicurezza.
Avendo ceduto il loro potere in questo modo al Sovrano, sarà lui che li costringerà a vivere insieme in una armonia predisposta dalla legge.
Il sovrano non può mai e poi mai andare contro i diritti naturali inalienabili dei suoi sudditi. Se il sovrano attenta alla proprietà e alla libertà, i cittadini hanno il diritto di insorgere.
Con questo edificio di esemplare chiarezza e semplicità Locke ha fornito il modello dello Stato costituzionale moderno.
 
Politica sociale di solidarietà
“La trasformazione sociale non solidaristica… produce disordine e al di là di un certo grado di disordine la società cessa di funzionare in modo regolare…
Appaiono allora i movimenti, potenze che rompono l’ordine costituito, veri e propri vortici collettivi che dividono chi era unito e uniscono chi era diviso.
E così si ricreano altri gruppi, altri campi di gravità sociale, altri tipi di fiducia e di speranza, con nuove mete collettive” .
Alberoni spiega chiaramente, che tecnica ed economia, da sole non tengono insieme le società.
Occorrono le rose della solidarietà e il pane del buon governo.
In secondo luogo, perché, come fa capire l’autore, la politica, pur non potendo impedire in assoluto i movimenti, dal momento che le società sono entità in divenire, può prevenirli, e con intelligenza recepirne le istanze migliori.
 
L'ideale
Nel film La conquista del paradiso di Ridley Scott, Cristoforo Colombo vecchio, sconfitto, incontra il Tesoriere di Spagna che lo rimprovera di essere un sognatore , un idealista.
Allora il grande navigatore gli mostra la città, i palazzi, le guglie svettanti verso il cielo e gli domanda cosa vede “La civiltà“ risponde l’altro.”
“ Ebbene – conclude Colombo – tutto questo è stato creato da idealisti come me.”
In questi ultimi tempi ho incontrato molta gente pratica, ambiziosa, capace di astute operazioni finanziarie o di abili manovre politiche.
E, più di una volta, ho chiesto loro perché lo fanno, quale è il significato ultimo della loro azione.
Mi sono accorto che, di solito, non capiscono nemmeno la domanda.
Perché voglio diventare professore universitario?
Ma è ovvio, perché ci tengo, per realizzarmi, per sentirmi chiamare professore, per avere prestigio.
E per motivi analoghi voglio diventare senatore, presidente, rettore, sindaco, ministro.
Solo in pochissimi ho percepito che quella meta, quel titolo, era solo lo strumento per uno scopo più alto, per realizzare una finalità più importante, una missione, una vocazione, un sogno, una visione.
Coloro che sono mossi da un desiderio spasmodico di potere e sono pronti a tutto per ottenerlo, possono salire molto in alto.
Le persone che si muovono per amore della ricchezza e del prestigio personale possono raggiungere risultatati importanti.
Però solo chi è mosso da una visione può fare ciò che gli altri non riescono nemmeno pensare, nemmeno immaginare e che giudicano una follia o una sciocchezza.
Gli uomini e le donne che hanno questo tipo di visione, sono completamente diversi dagli ambiziosi che hanno bisogno di ricchezze e di onori per sentirsi qualcuno.
Sono diversi dai fanatici che vogliono imporre al mondo il loro credo o il loro regime politico con la violenza.
Essi non vogliono dominare, vogliono creare.
L’impulso a creare non appartiene alla dimensione del prendere, ma del dare, non a quella dell’egoismo, ma dell’altruismo.
E anche il potere, in questo caso, è solo uno strumento per poter dare.
Il creatore, il costruttore, chi ha un sogno, non dà comandi ed esige ubbidienza per il gusto di vedere gente inchinarsi davanti alla sua potenza, ma per edificare insieme qualcosa che riguarda loro come lui.
Egli perciò concepisce il comando come un appello e l’ubbidienza come un assenso.
Tutti i creatori sono, per natura, dei capi perché vogliono cambiare gli altri, portarli su nuove strade e far sbocciare possibilità che nessuno riesce ancora ad immaginare.
Perché vogliono costruire nuove istituzioni, nuovi mondi, dove la gente viva meglio, realizzarsi più pienamente.
E pensano sia naturale che gli altri dicano di sì, che si associno al loro progetto.
Per questo non esitano a svegliare gli increduli, a trascinare gli inerti, a convincere i prigionieri delle abitudini e degli interessi quotidiani.
Perciò è naturale che molti di costoro resistano, o non capiscano.
Per questo i creatori sono costretti ad avanzare fra incomprensioni ed ostacoli.
Finché non hanno vinto, finché non hanno dimostrato che si poteva fare l’impossibile, raggiungere l’irraggiungibile.
 
Facci sognare
Dal vero capo ci si aspetta che sappia dare un senso alla nostra azione.
Gli americani usano una espressione che avrete sentito più volte anche voi al cinema "facci sognare!" … il popolo più pragmatico della terra non chiede qualcosa di concreto … ma chiede invece proprio quanto di più impalpabile, di più irreale ci sia, un sogno.
Perché, in realtà, l'unica cosa che veramente conti, mobiliti, dia forza alla gente e la trascini è un sogno.
Ogni grande impresa é nata da una fede, da un sogno che ha dato a un uomo la forza di superare gli ostacoli, le incomprensioni le invidie che gli interessi costituiti e meschini creano sulla strada.
Il capo non è colui che ha la titolarità del comando, il capo è colui che crea.
Nessuno tiene insieme uno Stato, una impresa, nemmeno una famiglia se non affronta e risolve continuamente nuovi problemi, se non crea, non inventa.
La storia è piena di re fannulloni che passavano il tempo a caccia o in cerimonie mondane, mentre il governo era in mano a capaci ministri o, nel califfato islamico, ai gran visir.
Perfino nella più addormentata repubblica, dove i polittici passano il loro tempo a tessere intrighi e vendette reciproche, sorgono sempre grandi personalità solitarie che imprimono una svolta alla politica, oppure creano imprese, giornali, istituzioni, opere d’arte.
È a loro che guarda la gente, è grazie a loro che resta viva la fiducia e la speranza.
 
Indicare la meta
La realizzazione di una impresa dipende sempre dall'apporto e dal consenso di molte persone.
Uno degli errori più gravi che può compiere un leader, è di pensare di aver realizzato tutto da solo, chiudersi nella sua sicurezza e non ascoltare le voci che gli danno informazioni, suggerimenti, oppure che lo avvertono degli errori e dei pericoli.
Ma a questo pericolo ne corrisponde uno opposto, la dispersione delle mete e la mancanza di una leadership energica, efficace, lungimirante capace di tener ferma la meta e rifare continuamente la rotta.
Una qualità essenziale tanto nel mondo politico come in quello produttivo.
Il leader di un movimento, il leader carismatico è colui che riesce a indicare la meta tenendo presente le innumerevoli spinte che vengono dal basso.
Egli viene ubbidito perché gli altri lo ritengono “il più adatto” “colui che sa” .
Al di fuori dei movimenti, quando una formazione politica si costituisce attraverso la coalizione di soggetti politici indipendenti, invece il capo deve essere essenzialmente un mediatore capace di trovare il consenso, la strada che permetta a tutti di ricavare un qualche vantaggio.
Ma è un lavoro difficile e che facilmente fallisce o non consente di realizzare grandi obbiettivi.
La trama deve essere tessuta e ritessuta continuamente.
Ma anche all’interno delle organizzazioni sorgono continuamente divergenze.
Per porvi rimedio, alcuni seguono la strada di moltiplicare le regole, di rafforzare la struttura burocratica.
Ma è un gravissimo errore.
Più la struttura si irrigidisce, più ogni singolo ufficio si preoccupa di aumentare il suo raggio d'azione, ogni singolo funzionario lavora per accrescere il suo potere, e moltiplica le pratiche, i divieti, le regole inutili.
Studiando le grandi organizzazioni vediamo che, spesso, la gente che vi lavora ha perso completamente di vista il fine per cui sono state costituite.
Ciascuno fa valere solo l'interesse della sua categoria, del suo gruppo.
Per questo motivo, ad un certo punto, si sente il bisogno "dell'uomo forte", di un capo che sappia imporre un unico punto di vista.
Di un capo che costringa tutti ad una ubbidienza cieca, pronta ed assoluta.
Se questo capo arriva, in un primo tempo, il metodo ha successo.
Tutti corrono, finiscono le discussioni, i ritardi e le inefficienze.
Però, dopo qualche tempo, il capo onnipotente, che crede di poter fare tutto da solo, finisce per restare isolato, per perdere i contatti con le persone concrete, con i loro problemi, le loro aspirazioni, le loro speranze.
Non sa più come motivarle.
E lo stesso capita in politica.
Alcuni grandi leader politici, con questo atteggiamento oppressivo, hanno finito per soffocare la creatività della società civile.
La vera funzione del capo, perciò, non è quello di fare tutto, di pensare a tutto, di controllare tutto, di sostituirsi a tutti.
La sua funzione non è di imporre in ogni campo la sua volontà, di dare ordini minuziosi su ogni argomento, sterilizzando o frustrando la creatività degli altri.
Il leader è, prima di tutto, il custode della meta, colui che ricorda ed indica a tutti dove si deve andare, e controlla che la rotta venga tenuta.
Egli deve trasmettere, ad ogni livello dell'organizzazione, il senso della missione, il significato del compito e il senso del dovere.
E, per farlo, deve crederci profondamente.
Nessuno convince gli altri se non é convinto lui stesso.
Nessuno trasmette modelli se non li pratica personalmente.
Se non dà l’ esempio.
È con la sua energia, con la sua fede, con il suo esempio, creando simpatia, fiducia, entusiasmo nei collaboratori, che li porta naturalmente a mettere a frutto tutte le loro energie e la loro intelligenza.
Che insegna loro a guidare, mobilitare dare l’esempio, a loro volta, i propri dipendenti. Cioè per diventare, essi stessi dei veri capi.
 
4) Creare una comunità morale
Una impresa raggiunge i suoi successi più strepitosi quando il gruppo dirigente è formato da persone che condividono gli stessi fini ed in cui ciascuno dimentica i propri interessi personali per darsi totalmente allo scopo comune.
Allora la sua personalità si dilata, la comprensione reciproca diventa fulminea, l’accordo diventa facile, spontaneo e nasce una forza, una creatività straordinaria.
È questo ciò che ogni leader, ogni imprenditore, ogni capo dovrebbe voler realizzare.
E, quando lo ha realizzato, dovrebbe coltivare, tenere vivo, proteggere, potenziare questo spirito, ed impedire che si accendano i processi negativi in cui ogni individuo antepone la sua personale meta individuale, il suo personale interesse alla meta collettiva.
Troppo spesso dimentichiamo che una impresa non è solo una entità economica, cementata da interessi, ma una comunità morale.
Quando si spezza la comunità morale, e il gruppo resta unito solo dalla ricerca del potere del guadagno, delle chiacchiere o, ancor peggio dalla ipocrisia e dalla paura, il suo destino è segnato: lentamente declina, sprofonda nella mediocrità, alla fine fallisce.
Troppo spesso dimentichiamo che oltre all’intelligenza, alla lungimiranza, oltre alla stessa genialità il grande leader deve avere realmente delle qualità morali, delle virtù.
Perché solo se le possiede in proprio potrà trasmetterle agli altri.
Sembra impossibile che la gente abbia dimenticato che uno Stato, un partito, una impresa ha realmente bisogno di moralità.
E che la moralità non è fatta di parole, ma di sentimenti sinceri e di comportamenti coerenti.
E che si insegna solo con l’esempio.
La parola virtù è oggi così poco usata che ci siamo perfino dimenticato il suo significato.
Una virtù è un insieme di qualità, profondamente interiorizzate che soddisfano simultaneamente tre requisiti.
  • Il primo è di realizzare ciò che riteniamo un valore, per cui ci sentiamo migliori.
  • Il secondo di ottenere risultati utili per noi o per la nostra comunità, cioè una utilità.
  • Il terzo terza di costituire un modello, un comportamento che vorremmo seguissero anche gli altri.
Solo quando sono presenti tutti e tre questi requisiti una virtù è completa.
Quali virtù allora?
  • sincerità contrapposta alla falsità, alla doppiezza, l’intrigo, la calunnia, l’ ipocrisia.
  • obbiettività: la capacità di valutare senza farsi influenzare dai pregiudizi e dalle maldicenze.  
  • forza d’animo, che lo rende sereno e lucido anche nei momenti più difficili.
  • umiltà, che è la capacità di ascoltare gli altri e di ammettere e correggere i propri errori.*
  • coraggio, necessario per prendere decisioni difficili ed assumersene le responsabilità.
  • generosità che è la capacità di pensare agli altri, al loro benessere, di dedicarsi, di spendersi, dando l’esempio.
  • giustizia, l’arte difficile di scegliere veramente i capaci, gli onesti, i sinceri, e scacciare i disonesti, i falsi, i calunniatori, chi perseguita e prevarica gli innocenti.

 
LE "ARMI" A DISPOSIZIONE DELLA LOTTA NONVIOLENTA
(tattiche di resistenza nonviolenta)
   
etica
impegno e responsabilità;
   
pianificazione strategia 
adottata con scrupolosità nel seguirla
   
disobbedienza civile
La disobbedienza civile è una forma di lotta politica, attuata da un singolo individuo o più spesso da un gruppo di persone, che comporta la consapevole violazione di una precisa norma di legge, considerata particolarmente ingiusta, violazione che però si svolge pubblicamente, in modo da rendere evidenti a tutti e immediatamente operative le sanzioni previste dalla legge stessa.
L'obiettivo di chi attua questa strategia di lotta è quello di evidenziare, mediante la propria disobbedienza, l'ingiustizia, a suo avviso palese, della norma di legge e le conseguenze che essa comporta.
In seguito a un atto di disobbedienza civile, come per ogni violazione di legge, segue il relativo accertamento in sede penale; nell'ambito del processo, gli esponenti di questo tipo di lotta possono perciò proseguire la propria azione politica, denunciando pubblicamente i motivi per cui ritengono errata la legge che contestano.
Se invece si parte dal presupposto che lo Stato è una costruzione umana, che non è infallibile, e che è diritto dovere dei cittadini di vigilare affinché esso non abusi del suo potere, allora, in questa prospettiva la disobbedienza civile appare salvifica e meritoria.
   
information warfare
L'information warfare (IW) o guerra dell'informazione è una metodologia di approccio al conflitto armato, imperniato sulla gestione e l'uso dell'informazione in ogni sua forma e a qualunque livello con lo scopo di assicurarsi il decisivo vantaggio militare specialmente in un contesto militare combinato e integrato.  
La guerra basata sull'informazione è sia difensiva che offensiva, spaziando dalle iniziative atte a impedire all'avversario di acquisire o sfruttare informazioni, fino alle misure mirate a garantire l'integrità, l'affidabilità e l'interoperabilità del proprio assetto informativo.   Nonostante la connotazione tipicamente militare, la guerra basata sulle informazioni ha manifestazioni di spicco anche nella politica, nell'economia, nella vita sociale ed è applicabile all'intera sicurezza nazionale dal tempo di pace al tempo di guerra.  
Infine la guerra basata sulle informazioni tende a colpire l'esigenza di comando e controllo del leader nemico e sfrutta le tecnologie per dominare il campo di battaglia.  

Alcune forme di guerra dell'informazione.
Il professor Martin C. Libicki, dell'Institute for National Strategic Studies, specifica che esistono distinte forme di guerra dell'informazione, ognuna con proprie caratteristiche.
Si hanno quindi sette diverse forme di scontro con l'avversario, sia esso politico, militare o economico, che sono:
  • command and control warfare (C2W) (guerra di comando e controllo), che mira a colpire la testa e il collo dell'avversario;
  • L'antihead -È dato dall'insieme delle attività rivolte a colpire la "testa", ossia il comando, delle forze nemiche.
    Primo problema dell'antihead è la localizzazione, o meglio, l'individuazione del centro di comando.
    Oggi i centri di comando sono facilmente riconoscibili per l'abbondanza di elementi caratteristici, come
    – forti emissioni elettromagnetiche (provenienti dagli impianti di comunicazione e elaborazione dati);
    – movimento di persone e di documenti o altri supporti ufficiali, in entrata e in uscita dal centro, non paragonabile a quello di altri insediamenti.
    La neutralizzazione e la distruzione di un centro di comando permettono di interrompere le operazioni nemiche; l'effetto sorpresa dell'attacco può amplificare di molto gli effetti di quest'ultimo.
    Nella lotta nonviolenta l'attacco viene sferrato con armi soft-kill, o di delicata azione lesiva, che impongono una precisa localizzazione dell'obiettivo da colpire ed operano secondo un'azione mirata, quale l'inerruzione di energia, l'uso di interferenze elettromagnetiche e l'uso di virus informatici.
    L'antineck -L'antineck è quell'insieme di attività che ha lo scopo di neutralizzare il "collo" della struttura di comando; in altre parole, a differenza dell'antihead, si cerca di interrompere le comunicazioni che avvengono tra il comando delle forze nemiche e le forze stesse.
    L'interruzione delle connessioni tra il comando e le unita operative, secondo la moderna pratica militare, richiede:
    • la conoscenza dei metodi di comunicazione: cil rende possibile capire se la rete di comunicazione si appoggia su cavi (è possibile localizzare e disabilitare i singoli nodi), su onde elettromagnetiche (nel qual caso, l'attenzione va rivolta ai ponti radio e richiede l'impiego di appositi apparati di disturbo e di intercettazione) o su satelliti (le comunicazioni da e verso i quali possono essere intercettate e disturbate);
    • la consapevolezza del fatto che anche i Paesi meno evoluti dispongono di apparecchiature sofisticate e, con la ridondanza che c'è di apparati e di linee, possono agevolmente confondere le idee a chi decida di attaccarli.
  • intelligence based warfare (IBW) (guerra basata sulle informazioni), che consiste nel progettare e proteggere propri sistemi per la gestione dell'informazione e nell'ingannare e inquinare quelli avversari al fine di dominare il campo di battaglia;
  • electronic warfare (EW) (guerra elettronica) che sfrutta sofisticati apparati radioelettronici e strumenti di crittografia.
  • psychological warfare (PSYOP) (guerra di operazioni psicologiche sui singoli o sulla massa) in cui l'informazione è adoperata per influire e per modificare pensieri e opinioni di soggetti amici neutrali o nemici.
    La Guerra psicologica consiste nell'uso pianificato della propaganda ed altre azioni psicologiche allo scopo principale di influenzare opinioni, emozioni, atteggiamenti e comportamento di gruppi ostili in modo tale da favorire il raggiungimento degli obiettivi nazionali.
    È nota anche con il termine infowar, che intende enfatizzare l'importanza tattica dello sfruttamento delle informazioni a fini bellici.
    I modi con cui viene attuata la guerra psicologica sono detti operazioni psicologiche o manovre psicologiche (in inglese PSYOPS, Psychological operations).
    Queste sono un moderno metodo utilizzato da istituzioni militari definibile come un complesso di attività psicologiche messe in atto mediante l'uso programmato delle comunicazioni, pianificate in tempo di pace, crisi e guerra, dirette verso Gruppi Obiettivo amici, neutrali o nemici (governi, opinioni pubbliche, organizzazioni, gruppi o individui), al fine di influenzarne gli atteggiamenti ed i comportamenti che incidono sul conseguimento di obiettivi politici e militari.
    Tipiche operazioni psicologiche sono le intromissioni nelle frequenze radio e televisive ed il lancio di volantini dal cielo per trasmettere messaggi volti ad influenzare l'opinione pubblica o le truppe.
    La guerra psicologica può essere assimilata alla guerra non convenzionale, sotto il profilo che essa tende ad influenzare la mente del nemico, anziché distruggerne l'apparato militare.
  • hacker warfare (HW) (guerra degli esperti informatici) che prevede l'attacco a computer, reti telematiche e sistemi di elaborazioni dati.
    La guerra informatica (noto nell'ambito operativo militare del mondo anglofono come hacker warfare, abbreviato HW), è quell'attività rientrante nelle operazioni di information warfare e sottotipologia di guerra cibernetica che utilizza pirati informatici per colpire la rete informatica avversaria.
    In questa guerra si è soliti assoldare, quasi come nuovi mercenari, quell'universo appartenente all'underground computing chiamati in vario modo: hacker, cracker, pheaker, cyberpunk, capaci di aggredire un sistema informativo protetto.
    Si tratta di professionisti con un livello di aggiornamento tecnico elevato ed allenati ad operare nelle situazioni più difficili orientandosi in complessi sistemi informatici e telematici.
    Operazioni di guerra informatica sono
    Attacchi ai sistemi
        paralisi totale degli elaboratori o semplici malfunzionamenti;
        modifiche al software di base;
        danneggiamento di programmi applicativi;
        installazione di procedure malefiche;
        interruzione fraudolenta di assistenza e manutenzione.
    Attacchi alle informazioni
        cancellazione;
        alterazione / modifica del contenuto degli archivi;
        inserimento indebito dei dati;
        copia abusiva / furto di elementi di conoscenza.
    Attacchi alle reti
        blocco del traffico telematico;
        deviazione delle richieste fatte a terminale su archivi clonati e modificati residenti su elaboratori diversi da quello originale;
        intercettazione delle comunicazioni autorizzate;
        introduzione di comunicazioni indebite mirate a disturbare;
        distruzione di siti famosi.
  • economic information warfare (EIW) (guerra delle informazioni a rilievo economico) con la paralisi delle informazioni o il loro pilotaggio volto a garantire la supremazia economica;
   
picchettaggio
Un picchetto è un blocco in massa dell'accesso agli edifici che ospitano fabbriche, impianti o scuole. L'azione prende anche il nome di picchettaggio.
Le persone che fanno "picchetto" si dispongono in blocchi davanti all'ingresso e non fanno entrare o rendono disagevole l'ingresso a altri lavoratori, in segno di protesta e di sciopero.
A livello legale il picchettaggio viene considerato di due distinte tipologie, quello di tipo persuasivo, legittimo in quanto costituisce una libera espressione del pensiero, e quello violento o coercitivo, che è illecito civilmente e penalmente.
Il picchettaggio viene impiegato a volte nei confronti dei clienti di una catena commerciale o come forma di protesta civile davanti a sedi del potere politico o economico.
   
volantinaggio
Il volantino è una pubblicazione a tiratura limitata formato da una pagina stampata su di una o entrambe le facciate.
L'uso è di informare in maniera veloce ed incisiva il possibile fruitore, che spesso ne viene in possesso in modo casuale, di un determinato tipo di evento, idea, progetto, oggetto.
Lo si utilizza tuttavia in ogni occasione che richieda il veicolare di un'informazione sintetica a un possibile pubblico, quindi in ambito politico, sindacale, propagandistico.
L'operazione di distribuzione dei volantini ai possibili destinatari può avvenire in maniera diretta, mediante consegna a mano, o in maniera indiretta tramite inserimento del volantino nella cassetta della posta o sul parabrezza delle automobili, in un'attività che viene definita volantinaggio.
Una distinzione importante va fatta tra volantinaggio a mano (hand to hand) ed in cassetta postale (door to door);   quest'ultima maniera rientra completamente in quella che può essere considerata posta non indirizzata, lecita quindi secondo tutte le leggi.
Abissale e' anche la differenza di efficacia tra i due servizi, come ci dimostra una ricerca di mercato del 2012 effettuata dalla Nielsen e finanziata dallo Studio Senese Italia group ( azienda leader nel settore del direct marketing) il volantino in cassetta ad oggi e' ancora atteso dal 86% delle famiglie ed il feedback di ritorno risulta ancora avere risultati favorevoli.
   
satyagraha
Durante la prima campagna che ebbe inizio in Sudafrica l'11 settembre 1906, la stampa internazionale, ma anche lo stesso Gandhi, solevano indicare le azioni e lotte organizzate da Gandhi coi termini 'resistenza passiva' o "disobbedienza civile".
Gandhi, nel corso del 1907, avviò una riflessione volta a discutere criticamente l'uso di questi termini.
Solo alcuni anni dopo (attorno al 1913) Gandhi iniziò a rifarsi al termine "ahimsa" = nonviolenza / innocenza (letteralmente: "assenza della volontà di nuocere").
Peraltro Gandhi stesso diverrà consapevole assai presto che l'ahimsa è da intendersi in senso positivo, e non semplicemente negativo, come pura "assenza di violenza".Ahimsa significa l'appello ad una "forza altra", distinta dalla violenza e ad essa opposta, e la definirà "forza che dà vita".

Così Gandhi il 18 dicembre 1907 indisse, dalle colonne del settimanale degli indiani del Sudafrica "Indian Opinion", un concorso per trovare un nome più appropriato e che sapesse cogliere a pieno lo spirito del metodo.
La proposta vincente fu suggerita da shri Maganlal Gandhi: sadagraha, cioè “fermezza in una buona causa”.
A Gandhi la parola piacque, ma – dice lui stesso nella sua autobiografia – “affinché fosse più comprensibile io poi la cambiai in satyagraha, che da allora in poi è diventata comune in lingua gujarati per definire la nostra lotta”.
Il 10 gennaio 1908 Indian Opinion pubblica per la prima volta la parola Satyagraha, che da allora divenne il nome ufficiale del movimento e del metodo di lotta promosso da M. K. Gandhi: la forza che nasce dalla verità e dall’amore.
Il satyagrahi (colui che pratica il satyagraha) aderisce a undici principi che osserva in spirito di umiltà: non violenza, verità, non rubare, castità, rinuncia ai beni materiali, lavoro manuale, moderazione nel mangiare e nel bere, impavidità, rispetto per tutte le religioni, swadeshi (uso dei prodotti fatti a mano), sradicamento dell'intoccabilità.
Il satyagraha può anche essere definito una forma di lotta politica e sociale (per Gandhi vi è una forte identità tra i due termini), dotata della massima efficacia se utilizzata per fini nobili e degni; risulta, invece, inutile o dannosa per chi lo pratica per egoismo o brama.
Nel pensiero satyagraha vi è identità tra fine e mezzo, a dispetto di ogni concezione "machiavelliana": per raggiungere una meta giusta l'unico modo è quello di usare metodi pacifici e nonviolenti, con amore verso il "nemico" contro cui è diretto.
Esso distingue il peccato dal peccatore e, mentre verso il primo si scaglia con tutta la sua forza, verso il secondo si comporta fraternamente: il suo obiettivo non è la distruzione dell'avversario, ma la sua convinzione (con-vincere, vincere con), e la pacifica convivenza di entrambi.
Chi pratica il Satyagraha intende dare forza all'avversario che usando motodi violenti è in realtà debole e per questo necessita della forza spirituale che si sprigiona durante un'azione nonviolenta.
Nel satyagraha vi è una forte tensione morale: i valori sono una componente fondamentale del pensiero e dell'azione, in ogni campo (sociale, politico, religioso, economico, culturale, ecc.).
Il satyagraha è anche il servizio dell'altro: nella disputa è còmpito del satyagrahi mostrare la via giusta, aderirvi e accettare a cuor sereno tutte le conseguenze.
La disobbedienza civile potrebbe rendere necessario infrangere una legge ingiusta: in tal caso il cittadino, rispettoso di tutte le altre leggi, moderato dall'auto-disciplina, obbedirà alla superiore legge morale e trasgredirà quella dello stato accettando senza rimorso la pena corrispondente.
Il fondamento di ciò è la superiorità della purezza dello spirito (derivante dall'obbedienza alla legge morale) rispetto alla sofferenza del corpo che potrebbe essere causata dal danno economico ricevuto o dalla permanenza in prigione.
Nel concreto il satyagraha si traduce in molteplici forme, alcune delle quali storicamente sperimentate, altre sono ancora da ideare.
Esse sono: la non collaborazione nonviolenta, il boicottaggio, la disobbedienza civile, l'obiezione di coscienza alle spese militari, l'azione diretta nonviolenta, il digiuno, ecc., nonché, in termini più generali, il pacifismo.

In India si ricorda la storica marcia del sale del 1930.
Il governo inglese aveva imposto una tassa sul sale che, essendo questo una materia prima di fondamentale importanza, andava a colpire pesantemente tutta la popolazione indiana con particolare danno dei più poveri.
Gandhi e i suoi collaboratori (o meglio amici, compagni, familiari) partirono dalla loro fattoria che erano in 78: i loro nomi vennero pubblicati sui giornali perché la polizia ne fosse informata.
Percorsero a piedi le duecento miglia che separano Ahmedabad da Dandi, nello stato del Gujarat, marciando per 24 giorni, e quando arrivarono alle saline erano diverse migliaia.
Alla fine il Mahatma raccolse un pugno di sale.
Disarmati, ordinatamente e col sorriso sulle labbra, i manifestanti andavano incontro alla polizia, sul luogo per sedare la rivolta.
Nonostante i duri colpi di sfollagente, i numerosi feriti e la violenza delle autorità, i cittadini continuavano ad avanzare silenziosi, a subire il trattamento senza reagire in alcun modo, senza neanche difendersi.
Dopo un po' la polizia si arrese di fronte ad una fiumana di gente che continuava ad avanzare senza paura.
Fu lo stesso comandante ad ammettere, a posteriori, il senso di impotenza di fronte a quella moltitudine, che coglieva impreparati gli agenti generalmente avvezzi a ben altro tipo di proteste popolari.

Martin Luther King praticò il satyagraha ispirandosi direttamente alle gesta nonviolente di Gesù e di Gandhi.
Negli Stati Uniti d'America del Sud organizzò un boicottaggio agli autobus, poiché vigevano delle norme che imponevano discriminazioni razziali nei posti a sedere.
Altri esempi di Martin Luther King sono la marcia su Washington per la conquista dei diritti civili e i numerosi sit-in.
   
gruppi di pressione
Un gruppo di pressione (in lingua inglese lobby), è un gruppo organizzato di persone che cerca di influenzare dall'esterno le istituzioni per favorire particolari interessi, la cui influenza può far leva su elementi immateriali, come il prestigio di cui il gruppo gode, o su elementi materiali, come il denaro di cui dispone.
Il termine inglese lobby significa propriamente «loggia» (nel senso di «tribuna [parlamentare]»).
La modalità di azione con cui esso si inserisce esercitando la propria pressione sul sistema politico viene denominata lobbying.
   
resistenza fiscale
« Se mille uomini non pagassero quest'anno le tasse, ciò non sarebbe una misura tanto violenta e sanguinaria quanto lo sarebbe pagarle. »
(Henry David Thoreau, Disobbedienza civile)
« Rifiutarsi di pagare le tasse è uno dei metodi più rapidi per sconfiggere un governo[senza fonte]. »
(Mahatma Gandhi)
La resistenza fiscale, protesta fiscale o sciopero fiscale è un gesto di ribellione consistente nel rifiuto di pagare le tasse allo Stato.
Tale gesto è spesso dovuto ad una forte opposizione a determinate politiche del governo, sia da un punto di vista civile che economico, oppure un'opposizione allo Stato in quanto istituzione in sé (gesto spesso attuato da movimenti anarchici).
Molti resistenti fiscali storici sono stati dei pacifisti, oppure particolari movimenti religiosi, come i quaccheri.
Questa "tecnica" è stata spesso usata anche da movimenti e personaggi nonviolenti, come ad esempio Mahatma Gandhi e Martin Luther King.
   
boicottaggi
Il boicottaggio è un'azione individuale o collettiva coordinata avente lo scopo di isolare, ostacolare e/o modificare l'attività di una persona, o quella di un gruppo di persone, una azienda o un ente o anche di uno stato, in quanto ritenuta non conforme a principio o ai diritti universali o a convenzioni sociali.
Oltre che a tali fini moralizzatori l'azione di boicottaggio può essere posta in essere anche a scopi economici.
Vi sono almeno tre tipi di boicottaggio: di "coscienza", "strategico" ed uno "etico-strategico".
  •  Il boicottaggio di coscienza risponde allo scopo di compiere azioni volte a correggere un'attività considerata contraria ai principi morali o dannosa. Un esempio in questo senso è il boicottaggio degli OGM o di prodotti e servizi di una società che adotta comportamenti ritenuti scorretti.
  • Il boicottaggio strategico ha invece finalità politiche o economiche e viene intrapreso da gruppi organizzati o anche da stati o organizzazioni internazionali al fine di modificare comportamenti in atto presso altri gruppi o stati usando ritorsioni economiche e commerciali sugli stessi.    Un esempio in tal senso è il boicottaggio statunitense dei prodotti cubani.
  • "il boicottaggio definito come "etico-strategico", condivide in qualche maniera entrambe le posizioni.    Consiste in una forma di ribellione e rifiuto di quei prodotti "eticamente scorretti", ma in maniera "strategica", vale a dire un boicottaggio che porti dei danni economici alle aziende incriminate.   Con tale espressione si intende il modo che molte persone hanno per evitare di comperare (e quindi sostenere) prodotti derivanti dall'inaccettabile sfruttamento umano o del pianeta: prodotti direttamente fabbricati da persone (spesso bambini) in condizioni di lavoro estremamente disumane e, spesso, indotte dal sistema economico; marche che, pur di raggiungere il maggior profitto, non rispettano la dignità umana ed il valore del lavoro; prodotti altamente inquinanti, pericolosi per la saluta del pianeta o per la salute umana, creati nel nome del "libero mercato" e del "massimo profitto" che, pur essendo lesivi ed in più difficilmente degradabili, vengono comunque commerciati.
Questo modo di boicottare è la maniera che ogni singolo soggetto possiede per ribellarsi al contingente sistema economico ed è la maniera che ogni singolo soggetto possiede per non sovvenzionare marche o prodotti derivanti da tale logica di mercato.
In taluni casi si può verificare il caso in cui il boicottaggio di coscienza assume una espansione tale da poter organizzarsi in movimento in grado di espandersi e trovare sostenitori rapidamente.
Una delle vittorie più significative ottenute mediante il boicottaggio fu l'abolizione del regime dell'apartheid in Sudafrica.
In questo caso si potrebbe benissimo parlare di coscienza presa!
Il successo di un boicottaggio, come movimento non strutturato, dipende dalla sua capacità di diffondere il messaggio.
Grazie all'avvento di internet con i siti web, i blog ed i forum la capacità di comunicazione dei movimenti di boicottaggio è aumentata consentendo di raggiungere un numero maggiore di potenziali aderenti.
   
sabotaggi
Il sabotaggio è una deliberata azione volta all'indebolimento ed eventualmente anche alla confusione del nemico attraverso la sovversione, l'intralcio, il disordine e/o la distruzione.
Dal punto di vista psicologico, viene sostituito con diniego, quando le azioni vengono condotte verso la psiche della vittima.
In guerra la parola è usata per descrivere l'attività di un individuo o di un gruppo non associato con i militari (ad esempio un agente segreto o un partigiano), in particolar modo quando le azioni portano alla distruzione o il danneggiamento di infrastrutture produttive o vitali come armamenti, fabbriche, dighe, servizi pubblici o magazzini.
A differenza degli atti di terrorismo, le azioni di sabotaggio non hanno come primario obiettivo il maggior numero di morti, ma non lo escludono.
   
Underground Railroad
La Underground Railroad era una rete informale di itinerari segreti e luoghi sicuri utilizzati dal XIX secolo dagli schiavi neri negli Stati Uniti per fuggire negli stati liberi e in Canada con l'aiuto degli abolizionisti che erano solidali con la loro causa.
Il termine veniva applicato anche agli abolizionisti che aiutavano i fuggitivi.
Altri percorsi conducevano in Messico o oltreoceano.
   
digiuni
Il digiuno è uno stato di privazione degli alimenti, volontaria o imposta.
Come forma di protesta, il digiuno venne utilizzato già nell'antichità.
Nei primi anni del XX secolo lo riscoprirono le suffragette inglesi incarcerate e gli irredentisti irlandesi; a rendere nota in tutto il mondo la pratica dello sciopero della fame fu però Gandhi che ne teorizzò le ragioni ed i metodi, incardinandolo nel pensiero nonviolento.
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